Nei negozi, nei supermercati, e alla fin fine in tutta la grande distribuzione, è ormai onnipresente: la quantità di cibi confezionati disponibile in commercio ce lo mostra in mille colorazioni, con stampe di ogni genere, o nella sua versione naturale, trasparente, perché le sue naturali caratteristiche di bassa permeabilità ad aria, acqua, oli e particolarmente batteri lo rendono ideale proprio per lo scopo di impacchettare e confezionare gli alimenti in modo facile e sicuro. Ci è tanto conosciuto che facciamo quasi fatica, in effetti, a pensare un periodo in cui non fosse disponibile e abbondantemente utilizzato. Ma che cos’è esattamente, e come ha avuto origine, lo strano materiale a cui diamo il nome di cellofan e che oggi trova un così ampio e diffuso impiego?
Il cellofan, come tutti sappiamo, è una leggera pellicola trasparente, ed è composta – cosa probabilmente molto meno nota al grande pubblico – di cellulosa rigenerata. Questa deriva da una grande quantità di possibili sorgenti, che spaziano dal legno, al cotone, alla canapa, e viene all’inizio disciolta in un bagno di alcali e disolfuro di carbonio. La soluzione che ne deriva, che ha il nome di viscosa, viene poi fatta passare, attraverso una sottilissima fessura, in un ulteriore bagno di solfato di sodio e acido solforico diluito, che la riconvertono in cellulosa. In seguito, viene passata in altri bagni, fra cui uno di zolfo e uno di glicerina per evitare che la pellicola diventi rigida e fragile. (Si tratta, per inciso, dell’identico procedimento usato per realizzare la fibra sintetica detta rayon, la quale viene solo fatta passare in un foro anziché una fessura.)
Ad essere curiosa è la modalità secondo la quale il cellofan fu inventato, nel 1900: e forse stupirà scoprire che, come peraltro capitò con moltissime scoperte scientifiche e invenzioni, il cellofan fu scoperto quasi per sbaglio. Ad inventare questo materiale fu un chimico svizzero, Jacques E. Brandenberger, il quale stava cercando di creare un tessuto che potesse respingere i liquidi anziché assorbirli. Quando provò a vaporizzare sul tessuto, come rivestimento idrorepellente, della viscosa, la stoffa rimase troppo rigida; ma Brandenberger scoprì che la copertura in viscosa si staccava facilmente e formava una pellicola uniforme – un materiale molto più promettente. Dieci anni dopo, con una macchina perfezionata, e avendo inventato anche il nome “Cellophane” (da “cellulose” e “diaphane”, “trasparente”), Brandenberger ottenne il brevetto.
Il successo favoloso del cellofan non è un mistero per nessuno: per trent’anni, dai Trenta ai Sessanta del secolo scorso, la fabbricazione industriale fu di altissimo volume, e tuttora che esistono alternative interessanti il materiale si dimostra perfetto per svariati utilizzi. Come abbiamo detto, infatti, è un ottimo involucro per alimenti; inoltre, fa parte, come base, del comune nastro adesivo che tutti conosciamo con il nome di Scotch; funge da membrana semipermeabile in alcuni tipi di batterie; e trova uso nella realizzazione dei tubi per dialisi. La sua impermeabilità all’acqua ma non al vapore lo rende inoltre la confezione perfetta per I sigari, che devono costantemente essere lasciati “respirare” durante lo stoccaggio. Ed è perfino stato utilizzato da alcuni artisti, poiché se illuminato da luce polarizzata produce colori cangianti, per effettuare installazioni di grande effetto, simili a vetrate istoriate cinetiche.